La professione del Coach è ormai popolarissima e spazia in molteplici ambiti della vita quotidiana, sia lavorativa che privata. Questo tipo di pratica è diventata davvero molto importante all’interno dei contesti lavorativi dove complessità e discontinuità sono diventati norma e prassi.
Il coaching appare come una tattica praticabile per rinforzare le competenze, migliorare le prestazioni e incentivare il cambiamento delle abitudini.
Lo scopo che accomuna tutte le pratiche di coaching è quello di conquistare i vari obiettivi e quindi ricavare una trasformazione positiva attraverso un certo tipo di apprendimento, non pedagogico, come per bambini e ragazzi, ma andragogico: orientato all’adulto.
Le definizioni di coaching sono parecchie e sono state soggette a varie evoluzioni nel corso degli anni: negli anni Novanta si pensava al coaching come un processo utile a evidenziare e migliorare le performance; all’inizio del secondo decennio degli anni 2000 la definizione viene arricchita da sfumature relazionali e viene aggiunto come obiettivo del coach quello di riconoscere e quindi migliorare le potenzialità del coachee.
Una delle definizioni più apprezzate è quella di Gallwey:
“Coaching è liberare il potenziale delle persone per massimizzare le loro prestazioni"
Ho accennato al coachee, ma chi è il coachee? Intuitivamente si comprende che il coachee è il protagonista dell’attività di coaching, ossia la persona che viene preparata e addestrata dal coach, in una parola: il suo cliente.
L’attività di coaching può essere svolta sia individualmente che in gruppo, ovviamente le dinamiche e le metodologie sono differenti per un caso e per l’altro.
Come si è detto le tematiche affrontabili con questa pratica sono tantissime, la mia attenzione è però rivolta al benessere aziendale e lavorativo ed all’interno di un’organizzazione la figura del coach viene impiegata per affiancare le persone che ricoprono incarichi apicali, talvolta la decisione parte dall’azienda, talvolta dall’individuo.
Non è un caso quindi che il binomio coaching e leadership sia tra i più comuni.
Ecco i tre livelli del coaching:
Affiancamento: il coach esterno affianca il manager all’interno dell’azienda in un percorso di consapevolezza e miglioramento delle performance;
Auto coaching: dopo il percorso con il coach professionista, il manager diventa coach di sé stesso in un’ottica di evitamento della dipendenza tra coach e coachee.
Addestrato ad addestrare: il manager diventa coach del suo team.
Quanti approcci e quale scegliere?
Innanzitutto mi preme affermare che coach non ci si improvvisa e non ci si può ritenere coach solo perché si è “bravi” nel fare qualcosa, inoltre il termine motivatore/incoraggiatore, non è assolutamente sinonimo di coach, come del resto non tutti i coach hanno una preparazione paragonabile a quella di psicologi o, nella fattispecie, di psicologi del lavoro, già solo per il numero di anni di studio e la formazione approfondita sul tema delle persone e dei comportamenti che gli psicologi hanno, in generale rispetto ai coach.
Quando si intraprende una carriera come quella del coach si ha molto spesso a che fare con persone con un qualche tipo di punto debole e che cercano il nostro aiuto proprio per liberarsene. Affidarsi a professionisti con una deontologia professionale esplicita può rivelarsi davvero molto importante per non perdere tempo, soldi e trarre vantaggi al posto di danni.
6 Approcci:
Cognitivo: questo approccio è particolarmente utile per imparare delle nuove e più adeguate modalità per la gestione dello stress e il decision making. Vengono presi in considerazione i meccanismi cognitivi ritenuti inefficienti e si procede lavorando nell’ambito degli schemi mentali, sul modo di categorizzare le sollecitazioni e i giudizi, cercando di produrre nuove comprensioni e quindi l’ambito cambiamento;
Comportamentista: consigliato per la gestione dei collaboratori, questo approccio ha come pregio quello di essere molto semplice, ma come ben si può comprendere questo è anche il suo limite. La tattica utilizzata è quella di modificare le azioni a seconda dei riscontri ricevuti dal contesto;
Psicodinamico: in questo metodo ci si focalizza sulle dinamiche relazionali e sulla crescita delle competenze interpersonali. L’area di azione è quella della motivazione e il coach aiuta il coachee a riconoscere, affrontare e sconfiggere le eventuali resistenze al cambiamento;
Psicologico-sociale: già dal nome si comprende che è un approccio integrato, dove si uniscono le dinamiche psicologiche e quelle sociali. Viene quindi messo in risalto il ruolo del contesto, oltre alle dinamiche relazionali che si instaurano tra coach e coachee, come punto di forza e di partenza per il potenziamento di quest’ultimo.
Sistemico: indicato sia per gli interventi individuali che di gruppo, questo approccio si concentra sulla persona inserita nel sistema o nei sistemi di appartenenza. Attraverso strumenti come le griglie di valutazione si ha la possibilità di accompagnare al cambiamento individuo e gruppo in percorsi paralleli.
Umanista: questo approccio è prettamente indicato per il lavoro individuale, all’interno del quale il coach si concentrerà sull’ascolto attivo del coachee per sostenerlo nei suoi progressi e nella piena espressione delle sue potenzialità. Di base ci sono la realizzazione di relazione aperta, accettazione e accoglienza dell’altro.
Se pensi di avere ancora domande sul coaching o di essere pronto per un percorso individuale o di gruppo con n coach, non esitare a Scrivimi qui quali sono le tue necessità, ti risponderò volentieri.
FONTI
L’executive coaching a supporto dei protagonisti aziendali (G. F. Goeta) 2011
Coaching (C. Ghislieri) 2020
Executive coaching: it works! (F. A. Kombarakaran, A. J. Yang, M. N. Baker, P. B. Fernandes) 2008
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